Questa sera sono uscito sul terrazzo, tenendo tutte le luci spente, per gustarmi il cielo stellato primaverile. Mi sono cullato per un po’ in quell’incanto, e subito mi sono ricordato di quando, da bambino, pretendevo di memorizzare il cielo sopra casa per essere sicuro di saperla ritrovare in caso di necessità. Neanche fossi un marinaio in mezzo all’oceano. Allora non sapevo che le stelle si spostano come fanno gli umani, ma il solo tentativo di fissare nei miei occhi la loro posizione mi dava un senso di sicurezza in qualcosa che credevo eterno ed immutabile. Sono passate tante primavere, ma quella ricerca istintiva dell’Orsa Maggiore e quel senso di sicurezza riposto in quei pallini che brillano tremando nel buio è rimasto immutato. Sballottato dal continuo viaggiare sulle strade del mondo e dalle erratiche esperienze della vita, fin troppo ricca di lunghi e faticosi percorsi, faccio fatica a spiegare a me stesso cosa significhi “casa”. Ma quando la giornata finisce, mi basta alzare gli occhi verso il grande buio perdendovi lo sguardo e sento che il mio cuore riposa nella casa della pace. L’unica dalla quale non ho mai tentato un esilio.