Diario dall’India: 14 gennaio 2015

Sembra una pruderia di viaggiatori di fine ‘800 scrivere un diario del mio viaggio e soggiorno in India, ma visto che tutti gli amici non fanno che dirmi: “mandami notizie e foto” e non volendo io farlo su Facebook per mille motivi che non sto a descrivere, ho deciso che il mio blog personale potrebbe essere lo spazio giusto.


Siamo arrivati a Delhi dopo un viaggio abbastanza fortunato, visto che l’aereo era semi-vuoto e abbiamo potuto dormire sdraiati utilizzando 3 sedili a testa.

Ad accoglierci all’aeroporto di Delhi, oltre al freddo, c’era un delizioso cucciolo randagio che sprizzava tenerezza da tutti i pori:

2015-01-14 06.39.18

Siamo saliti su un taxi per andare all’altro aeroporto di Dehli, quello per i voli interni, e mi divertiva il fatto che il tassista avesse appesi tutti i santini della religione indù, in primo piano Ganesha, il Dio che rimuove gli ostacoli, Dio che probabilmente il tassista sente come suo protettore principale.

Arrivati all’aeroporto dei voli interni, abbiamo avuto la più accurata perquisizione mai avuta finora in un aeroporto e alla fine siamo saliti sul velivolo. Pare sia dovuto al fatto che c’è una grande tensione tra indù e islamici e la paura di attentati è enorme.

All’arrivo a Bagdogra, c’era un caldo impressionante, e, al centro di una parete, dentro una teca di vetro, una statua metallica del Buddha Sakyamuni, cosa che mi sembrava strana, ma poi ho saputo che da queste parti ci sono moltissimi buddisti anche perché i tibetani sfuggiti all’invasione cinese si sono rifugiati qui.

Prendiamo la macchina del Gandhi Ashram che ci è stata mandata da Kalimpong e ci incamminiamo per una strada piena di buche e con un traffico impressionante. Troviamo per strada mucche, montoni, galline, oche, cani e gatti. E buche, buche, buche e ancora buche. Alcune sono così profonde che mettendoci un piede dentro si arriverebbe a metà polpaccio. La macchina evita dove e quando può. A un certo punto scorgo un corpo umano in mezzo alla polvere. Voglio sperare per il meglio, che si sia addormentato, magari ubriaco, in maniera bizzarra  sul ciglio della strada. Nessuno, comunque lo avvicina, tutti proseguono.

Ecco un po’ di fotografie del viaggio in macchina:

Passata la città di Siliguri, caldissima, rumorosissima, grandissima, coloratissima, sporchisssima… si comincia a salire verso le montagne dell’Himalaya.

La strada è talmente polverosa che ho avuto problemi non piccoli di respirazione. La strada si inerpica sulle pendici della vallata scavata dal fiume Teesla e, a lato della strada abbiamo trovato delle frotte di scimmie,impolverate pure loro, che, spesso mangiando banane, osservavano divertite e curiose il passaggio delle macchine. Purtroppo non sono riuscito a fotografarne nemmeno una, perchè con una strada così dissestata dire che le foto venivano mosse è un esagerto eufemismo.

Ecco un po’ di foto di questa parte del tragitto in mezzo alla polvere [cliccando sulle foto è possibile visualizzarle meglio]:

 

Arrivati col buio ai cancelli di Crookety House, la nostra residenza, il guardiano notturno ci ha aperto la porta ed abbiamo trovato già pronta una deliziosa cena indiana.

Freddo da morire e poi a letto subito, sotto un piumone veramente professionale, che ci ha salvati dal congelare.

Notizia terrificante: mettere la sveglia perchè già da domani mattina ci aspettano al Gandhi Ashram.

 

Deh cantami, o Muso…

Scultura di Fieno di Julia Artico - Fotografia di Lisa Calabrese

Scultura di Fieno di Julia Artico & Fotografia di Lisa Calabrese

Deh cantami o Muso, sul mio pianoforte
grugniti melliflui ed arie contorte
ché tutti gli amici, presenti e perplessi,
capiscano solo quant’io li sfottessi.

Facocero immenso, tu sei il mio Vate
ispiri al mio ingegno idee prelibate
mi apri la mente e la fantasia
mi stimoli a scriverti questa poesia.

Se rido ogni giorno non è per stoltezza:
la mia terapia si chiama allegrezza,
se pure più d’uno per questo si offende
a rider di cuore la vita risplende.

[Filastrocca di S. Silvestro 2014]

L’informazione al palo

ladro.gif-w500Nel gergo della malavita il palo è un complice del ladro, quello che rimane fuori dal luogo del saccheggio sia per distrarre gli eventuali passanti sia per avvertire per tempo i rapinatori dell’avvicinarsi della polizia.

Recenti articoli giornalistici che ho letto negli ultimi tempi, e che rappresentano il punto più basso mai raggiunto dal giornalismo nell’ultimo secolo (ricordo che il giornalismo di regime ce la mise tutta per indurre il vomito, eppure è stato indubitabilmente superato) mi fanno ricordare proprio il palo del rapinatore.

Il rapinatore è chiaramente l’iniquo sistema fiscale che ci ritroviamo ad avere, quel sistema che infila nelle nostre tasche le sue mani, sporche di corruzione, per… ripulirle.

Per non generare insurrezioni troppo violente – l’equivalente sociale dell’arrivo della polizia – il palo/giornalista cerca di distrarre la folla con le sue pirotecnie. I temi basati sul pecoreccio bavoso o sul complottismo delirante hanno sicuro successo, ma piacciono sempre anche le storie lagrimevoli e le infuocate polemiche surrettizie, meglio se condite di insulti, luoghi comuni, statistiche e malvagità.

Mentre la folla è accalorata dall’interesse per la carognata quotidiana, furbe mani suggellano decreti di insensate ruberie, camuffate da servizi, appalti, rivalutazioni e altre ipocrisie.

E, come in ogni furto, la gente se ne accorge e duole solo quando i quattrini si sono già involati, preparando le condizioni più favorevoli per il prossimo scoop.