Un guazzabuglio spiritosamente spirituale.
Migliaia di anni in cui la religiosità era basata sull’espiazione, la colpa e l’autoflagellazione hanno lasciato una traccia garbatamente percepibile sul buonumore delle persone. Il Dio spietato giudice e inflessibile punitore del dies irae – la preghiera più ansiogena della storia – il timor di Dio, iscritto tra i sette doni dello Spirito Santo (ma non si disturbi: ne facciamo anche a meno), interpretazioni terrorizzanti delle Scritture (prima tra tutte l’Apocalisse che dal significato originario di rivelazione ha preso il significato comune di tragedia immane) hanno instillato una tristezza pesantissima che spesso ha angosciato coloro che si sono accostati al mondo dell’oltre. Paura e cupezza sono state il motto e il modo. Il riso abbonda sulle bocche degli stolti, è stato il fulgido orientamento sul quale venivano educati i fanciulli, affinché costruissero operosamente una società mesta e depressa.
Eppure i grandi Santi, Maestri e Mistici erano allegri e gioiosi come dei bambini. Di costoro sono stati tramandati numerose battute e motti di spirito (guarda guarda questa strana espressione…), spesso fortunosamente scampati alle terribili censure che venivano fatte loro post mortem, al fine di confermare l’immagine di angosciante austerità costruita dai loro successori.
S. Francesco, per esempio, aveva un tale senso dello humour da essere ricordato dai posteri come il giullare di Dio, appellativo utilizzato fin dal titolo per capolavori del cinema e del teatro come quelli di Roberto Rossellini, Mario Monicelli e Dario Fo. Ma questi eccellentissimi artisti non hanno potuto attingere alle lepidezze originali di Francesco, perché S. Bonaventura da Bagnoregio, una volta nominato ministro generale dell’Ordine, avendo scritto una biografia del Santo ampiamente emendata (oggi la chiameremmo biografia autorizzata) distrusse – bruciandoli – tutti i documenti che non la confermavano. Non ci riuscì completamente, perché Francesco era diventato troppo famoso e troppi scritti circolavano su di lui, tuttavia Bonaventura non mancò di praticare uno degli esercizi spirituali di lì in poi più promettenti: il rogo. Essendo solo agli albori di una grande stagione, il pivellino si limitò a infiammare libri e papelli.
Per indole e destino non riesco a evitare di giocare con le radici delle parole. Innanzitutto, fin dal titolo di questo pasticciaccio è evidente che spirito, ed il suo aggettivo corrispondente, indicano sia l’elemento trascendente sia il buonumore, derivando da spiritus, che in latino è il respiro vitale. Infatti ridere è altrettanto vitale quanto avere fede: la leggerezza innalza e dà vita.
Il desiderio sommo di ogni ricercatore interiore è l’unione con il Divino, che in sanscrito ha la radice Jogh. E da questa radice sono venute in oriente la parola Yoga e in occidente la parola Gioia.
Anche la parola Giogo (quello che unisce i buoi al carro o all’aratro) viene dalla stessa radice, ma, essendo ingombrante e pesante, nelle comuni orazioni quotidiane è stato totalmente soppiantato dalla coroncina del rosario. Avrei sperato vedere anche la parola Gioco, provenire dalla stessa origine, eppure i glottologi non mi sostengono e preferiscono derivarla o dalla radice pre-italica diu (esser lieti) o dalla radice jak (scagliare), entrambi soluzioni che mostrano come il fine ultimo della glottologia sia di farci sbellicare dalle risate. Almeno i glottologi ci allietano con una disciplina che deve il suo fascino al fatto di non essere una scienza esatta, e quindi può ancora farci divertire, sperare e sognare.
Per rendere la spiritualità effettivamente spiritosa ci vorrà tempo, magari non proprio migliaia di anni, forse possiamo essere un po’ più veloci. E se saremo più veloci, allora saremo più allegri, parola che viene dal latino alacer che significa veloce e che solo nel lessico musicale ha conservato il significato originario.
Comunque andranno le cose, occorrerà che ci dotiamo di una grande pazienza.
S. Agostino pregava: “Signore, concedimi il sublime dono della pazienza…
Subito però!