Spesso si parla di guerre dimenticate intendendo conflitti armati tra paesi del terzo mondo scarsamente documentati e raccontati all’opinione pubblica.
Ma ci dimentichiamo che sotto casa abbiamo cinque milioni e mezzo di processi civili pendenti e tre milioni e mezzo di penali. Abbiamo, quindi, un totale di nove milioni di processi!
Che cos’è un processo se non una guerra tra persone? Apparentemente meno cruenta (ma se calcoliamo gli omicidi che scatenano le cause penali e i suicidi che ne conseguono dopo sconfitte nei processi civili il numero di morti è impressionante), ma con l’identico obbiettivo: eliminare l’avversario.
Nove milioni di combattimenti per un totale di almeno 18 milioni di combattenti (ma in realtà molti di più perché ogni processo può riguardare moltissimi individui, pensiamo, per esempio alla class action), vogliono dire un coinvolgimento infinitamente superiore a qualsiasi conflitto precedente.
Per dare un po’ di cifre: alla seconda guerra mondiale, la più sanguinosa delle guerre finora combattute, parteciparono 3.430.000 unità militari complessive con 443.000 vittime tra militari e civili; per quanto riguarda le tragedie sotto casa, invece, le cifre sono assai inferiori solo per il numero di vittime, ma comunque assolutamente ragguardevoli in assoluto: dalle ultime rilevazioni ISTAT disponibili (2002) risultano 560 omicidi e 4.069 suicidi.
Quale pace sarà mai possibile se oltre 18 milioni di persone sono in guerra tra loro? Da dove potrà mai nascere il senso di pace quando perfino tra coniugi e tra fratelli ci si fanno guerre crudeli senza esclusioni di colpi?
Considerare la guerra giudiziaria come un normale servizio al cittadino e non come lo specchio di una spaventosa violenza interna fa comodo a troppe persone, come pure fa comodo a troppi pensare che le guerre le facciano sempre e soli gli altri.