Nel corso di una spedizione condotta nel 1978 dall’archeologo italo-americano Dig Scavolini nell’alta Valle dell’Indo, sono state rinvenute le tracce di una misteriosa civiltà che si è estinta nel II millennio a.C. a cui gli archeologi hanno dato il nome di Civiltà Quan, dal verbo che, nella lingua originaria di tale popolazione, significava coloro che generano. La regione dove è stato fatto il rinvenimento si chiama Qua-cistan (terra dei Quan) e il luogo dove sono stati fatti gli scavi è la valle di un affluente dell’Indo, il fiume Qua-si qua-si (l’acqua genera, l’acqua [ri]genera) che scorre in mezzo a due catene montuose che si chiamano Qua-lodici (generato a oriente) e Qua-loneghi (generato a occidente).
Il dio adorato da queste parti (principalmente tramite un particolare ballo che coinvolgeva tutti i fedeli) si chiamava Quaquan (colui che è generante e generato, concetto teologicamente assai raffinato) e la popolazione che abitava questa regione era chiamata Quacquaracquan (la stirpe generata dal Dio Quaquan, perché anche loro consideravano se stessi Figli di Dio).
Non sapremmo nulla della spiritualità dei Quacquaracquan se non fosse stata rinvenuta una grande epigrafe murata su una parete esterna di un edificio che, per grandezza e maestosità, viene ritenuto il palazzo reale. Si tratta di una preghiera solenne che era probabilmente utilizzata durante i riti.
Pensiamo di farvi una cosa gradita pubblicando in questa sede la traduzione, fatta dello stesso Scavolini, di questo testo così interessante e unico, sul quale ci asteniamo – per evidente incompetenza – da qualsiasi contestualizzazione, interpretazione o commento.
«Salvaci, o Signore Quacquan, dai Tuoi seguaci, dai Tuoi fedeli, e dai Tuoi devoti.
Proteggici dai sacerdoti, dai santoni, dai capi carismatici, da quelli che sanno tutto, da quelli che hanno capito tutto, da quelli che hanno capito meglio degli altri, da quelli che hanno letto e riletto tutti i libri del Tuo insegnamento riga per riga, li conoscono a memoria e vogliono pure farcelo notare.
Preservaci da coloro che hanno fatto tutte le scuole e tutte le esperienze possibili, e che pretendono di raccontarci le infinite e inebrianti esperienze spirituali che loro, e solo loro, hanno vissuto.
Tutelaci da coloro che affermano “te l’avevo detto”, “quante volte te l’ho detto”, “lo dico sempre”, “me lo sentivo”, “le mie sensazioni non sbagliano mai”, tutte le volte in cui si verifica qualcosa di inaspettato.
Nascondici da coloro che conoscono la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità e sono certissimi che la verità coincida con le loro personali esperienze e convinzioni.
Facci da scudo dalle continue e spietate citazioni di tutta la letteratura sapienziale esistente.
Tienici saldi di fronte a coloro che si considerano gli unici detentori dell’interpretazione giusta.
Allontana da noi quelli che trovano evidenti e banali tutte quelle cose che noi riusciamo a capire solo con disperata fatica.
Purificaci da coloro che hanno sempre già visto e notato tutto e che di fronte ad ogni meravigliosa novità della vita invece dello stupore esprimono sufficienza.
Dacci il permesso di sbagliare, totalmente e senza cercare scuse, con innocuità e purezza di cuore, comprendendo i nostri errori in assoluta autonomia e senza bisogno di dotti supervisori.
Qua – Qua – Qua
(sillabe sacre, o forse mantram, che andavano cantate più volte da tutta l’assemblea accompagnandosi con sistri metallici o di bambù). »