L’Italia ha ricevuto dalla Comunità Europea l’intimazione di pagare i diritti d’autore per i prestiti bibliotecari.
Anche se questi sono già a pagamento in molti paesi della Comunità, la notizia ha fatto molto scalpore, ci sono state molte proteste e numerose iniziative si sono susseguite per scongiurare questa eventualità.
Sono iscritto alla SIAE da 25 anni e non ho nulla contro il diritto d’autore, ma mi oppongo solo agli stravolgimenti e alle esagerazioni dello stesso, e sono profondamente contrario all’accoglimento di questa intimazione in quanto sono convinto che, a parte i danni incalcolabili per il mondo della cultura, si ritorcerebbe gravemente contro gli autori stessi.
Un libro un lettore?
Voglio ribadire che qui non si mette in dubbio il diritto dell’autore e dell’editore a giusta remunerazione, ma si discute unicamente sull’ulteriore remunerazione del prestito librario oltre la remunerazione già avvenuta con l’acquisto del libro stesso.
Insomma, per la remunerazione degli autori è indispensabile stabilire dei limiti, e i limiti non possono proprio essere fissati unilateralmente dalle sole società per i diritti d’autore.
Esaminiamo quindi in dettaglio la questione: ogni biblioteca acquista regolarmente i libri e paga il prezzo pattuito comprensivo della remunerazione dell’autore.
Fino ad oggi ogni libro cartaceo può essere letto da più lettori.
Se il libro è di proprietà privata, se anche passasse questo provvedimento, lo potrei ancora imprestare a chi voglio senza limitazione.
Per quale motivo se la proprietà del libro è pubblica, questo non può più essere liberamente prestato?
Insomma, i libri di proprietà pubblica non possono avere gli stessi diritti di quelli di proprietà privata? Mi sembra un paradosso giuridico che un libro di mia proprietà, che ho imprestato liberamente a degli amici, se lo dono ad una biblioteca non può più essere liberamente imprestato. Che è cambiato nella natura giuridica di quel libro dopo la donazione?
Ma c’è uno scenario ancora peggiore: visto il progressivo ed esponenziale avanzamento di pretese economiche da parte delle società per i diritti d’autore, non c’è alcun motivo per non ritenere che il prossimo, conseguente e inevitabile passo sarà di vietare il prestito privato dei libri e delle altre opere dell’ingegno; quindi non potrò più prestare legalmente ad amici e parenti i miei libri, i miei CD, le mie riviste e, forse, non potrò più nemmeno condividere il quotidiano, né leggerlo dal barbiere o al caffè.
A tal punto nessuno potrebbe più effettivamente acquistare un libro, potrebbe tutt’al più noleggiarlo.
Questo rischio è tutt’altro che remoto: non è il sogno di un visionario o l’incubo di un pessimista.
Per le risorse digitali, infatti, le cose stanno già così da un pezzo e per impedire la condivisione per esempio di un brano di musica, perfino all’interno della stessa famiglia, sono stati inventati i chip DRM, che impediscono qualsiasi possibilità di prestito o copia.
L’unica tutela del prestito interpersonale finora è di tipo tecnico: finora i libri sono oggetti cartacei per i quali è impossibile precludere fisicamente la condivisione; ma se i libri sono digitali, già adesso non li posso prestare neppure a mia figlia a meno che non ne compri una nuova copia (pardon: licenza!).
Forse è questo a cui si vuole arrivare, a trasformare il libro in una licenza di lettura, snaturandone completamente la sua natura di oggetto che ha una forma, un odore, una sofficità, un peso, un colore, una qualità affettiva. Milioni di persone si sono affezionate ai libri, ma chi mai si affezionerà a delle impersonali licenze?
La prospettiva “un libro – un lettore” è la morte definitiva della fin troppo agonizzante lettura in Italia, oltre che una mostruosità giuridica.
Verrebbe meno il concetto di pubblicazione, che verrebbe sostituito da quello, molto più bieco, di privatizzazione.
E le biblioteche, trasformate da millenari centri di diffusione della cultura a improvvisati “libronoleggi”, verrebbero a perdere le loro finalità istitutive, che sono culturali e sociali, non commerciali.
Teniamo anche conto che il fatto che il prestito bibliotecario faccia vendere meno copie agli editori è una mostruosa bugia da sfatare. Piuttosto è vero il contrario: il prestito promuove il libro e ne amplia la notorietà e quindi le vendite.
Chi paga
Se questo sciagurato provvedimento venisse approvato il primo dilemma da risolvere sarebbe: chi ne paga le spese.
I lettori? In tal caso il prestito diverrebbe un evento rarissimo e gli autori non incasserebbero comunque quasi nulla, rendendo praticamente inutile la messa in opera di questo provvedimento, ma dando un colpo mortale alla lettura quale nessun altro provvedimento potrebbe fare. Colpo mortale alla lettura vuole anche dire che non si vendono più libri, e quindi gli editori perderebbero perfino i proventi della vendita.
E per giunta gli autori, che per produrre le loro opere avessero bisogno di usufruire massicciamente di prestiti bibliotecari, si vedrebbero crescere esponenzialmente i costi di ricerca, costi che ben difficilmente potrebbero mai ammortizzare.
Ma si sa che, almeno in Italia, paga sempre Pantalone, nella fattispecie lo Stato, le istituzioni, la singola biblioteca. Anche qui, vista la tragica situazione del bilancio statale (e di conseguenza delle biblioteche pubbliche), sappiamo benissimo che queste cifre saranno comunque tolte alla cultura e sicuramente all’acquisto di nuovi libri nelle biblioteche: insomma tutto questo si ritorcerà comunque sugli autori e sugli editori, portando via con la mano sinistra ciò che verrebbe dato dalla mano destra.
E quindi, dove sono i vantaggi per gli autori ed editori?
Gli svantaggi, invece, sarebbero del tutto evidenti: circolerebbero meno libri, se ne leggerebbero di meno, se ne promuoverebbero di meno e ogni autore avrebbe comunque meno lettori.
I benefici offerti dalle biblioteche
Le biblioteche non sono, né sono mai state dei semplici contenitori e dispensatori di libri, delle utenti passive della cultura. E anche se fossero state solo questo, sarebbe già qualcosa di grandioso.
Esse promuovono costantemente la lettura con mille iniziative, esponendo i libri, informando il pubblico, organizzando incontri, conferenze, mostre, rassegne, presentazioni di novità editoriali, dibattiti, pubblicazione di bollettini di informazioni librarie e molto altro ancora.
Se la promozione di un libro, servizio che le biblioteche svolgono gratuitamente, o meglio, a spese della collettività, dovesse essere fatta a pagamento, autori ed editori dovrebbero sborsare cifre esorbitanti.
Perché questo parametro indiscutibile non viene mai considerato nel computo del dibattito sulle remunerazioni?
Se il prestito di un libro venisse remunerato, allora anche la promozione dei libri e della lettura da parte delle biblioteche dovrebbe seguire una logica commerciale. E, se si seguisse questa strada, i costi per autori ed editori sarebbero molto superiori agli incassi ottenuti.
Ma soprattutto, sarebbe la ricetta più sicura per ritornare in meno di vent’anni, culturalmente parlando, all’età della pietra.
Voglio pure ricordare che l’editoria è sottoposta ad una serie di agevolazioni statali (a cominciare dall’IVA agevolata, finanziamenti a fondo perduto, sussidi e molto altro) che vengono concesse in quanto il bene culturale è ancora considerato qualcosa di particolare che non può essere banalmente equiparato a qualsiasi altro prodotto industriale.
Anche queste agevolazioni da parte dello stato, le cui erogazioni e i cui minori incassi gravano sulla collettività, vanno messi nel computo quando affrontiamo il tema del prestito a pagamento.
Insomma, vorrei che fosse chiaro il fatto che editori e autori ricevono dalle biblioteche, dallo stato, e quindi da tutti i cittadini, un numero consistente di benefici che ora è giusto cominciare a valutare e a monetizzare, perché è finalmente venuto il momento di dire che questi benefici non possono essere erogati pedissequamente senza alcuna contropartita.
Se lo stato proponesse l’abolizione assoluta di qualsiasi sussidio, agevolazione diretta o indiretta a favore dell’editoria in cambio dell’accettazione del pagamento per i prestiti librari, è certo che per la maggior parte degli editori sarebbe una disfatta definitiva.
Chi ci guadagna veramente
E poi chi ha detto che il prestito a pagamento porterebbe remunerazione agli autori?
Gli scenari sono due: o i pagamenti per i prestiti vengono fatti analiticamente per ogni singolo volume, oppure vengono fatti a forfait.
Il primo caso sarebbe improponibile, perché tale contabilità per una biblioteca diverrebbe talmente complessa da portare alla sicura paralisi amministrativa dell’istituzione.
Ma se i compensi fossero a forfait, cosa assai probabile, allora avremmo la stessa situazione che si verifica negli altri settori dove vige il forfait, come per esempio la tassa su CD, DVD, cassette vergini ecc. Praticamente gli incassi da questi comparti vengono spartiti tra gli editori percentualmente al peso economico che questi stessi hanno in tutto il settore editoriale, dove i diritti televisivi e cinematografici la fanno da padroni mentre l’editoria cartacea è la Cenerentola.
Con le norme vigenti, se io registro su un CD vergine una mia composizione per farla sentire ad un amico, gli incassi vanno alle grandi multinazionali dell’editoria: l’opera è mia, io ci pago sopra una tassa, ma sono altri a beneficiare degli incassi.
Lo stesso paradosso si riproporrebbe pari pari nelle biblioteche, senza alcuna variante.
Occorre anche ricordare che il mondo delle biblioteche è molto diverso e indipendente dal mercato librario.
C’è tutto un settore dell’editoria che si fonda solo sulle biblioteche, e che comprende tutte quelle pubblicazioni altissimamente specialistiche che mai troverebbero spazio sui banchi di un negoziante, opere omniae, grandi opere di consultazione, monumenta, collezioni tematiche, bibliografie e molto altro, ci sono dei libri specialistici che vengono stampati in pochissimi esemplari ad alto costo per un mercato esclusivamente bibliotecario.
E va anche detto che le statistiche di prestito bibliotecario dei libri non rispettano affatto le statistiche di vendita degli stessi, proprio perché il mondo del commercio librario e quello delle biblioteche sono estremamente differenti e autonomi.
Secondo voi gli incassi dei libri prestati dalla Biblioteca dell’Istituto Fantomatico di Storia del Futuro andrebbero mai agli autori di quei libri? L’unica cosa certa è: no! Eppure gli studiosi che hanno pubblicato quei libri hanno speso una fortuna per le loro ricerche, hanno dovuto peregrinare per gli archivi di mezzo mondo, pagare costosi microfilm di manoscritti e lavorare migliaia di ore per produrre la loro opera. Chi incasserebbe allora i soldi per questi libri? La risposta sorge spontanea: le grandi multinazionali dell’editoria, quelle che sono già in cima alla classifica degli incassi: Time Warner, Sony, BMG, Walt Disney Corporation e pochissimi altri.
E questo spiegherebbe la mossa politica a livello europeo: l’autore o l’editore nostrano sanno benissimo che un provvedimento del genere sarebbe un disastroso autogol (anche d’immagine, si badi bene!) capace di azzerare i magri guadagni tipici del mondo dell’editoria libraria. Ma i giganti dell’editoria, visti i meccanismi di ripartizione che danno loro il quasi monopolio degli incassi forfettari, hanno degli interessi enormi nello spremere soldi da un mercato così grande e promettente come quello europeo, e investono capitali in azioni lobbistiche, in cause giudiziarie facendo intentare le azioni politiche e legali dalle varie società per il diritto d’autore, i cui consigli d’amministrazione sono in mano ai propri rappresentanti.
Il lettore non ha mai alcun diritto?
Su qualsiasi prodotto editoriale si confrontano più soggetti:
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I produttori, cioè autori ed editori, che hanno i loro diritti ampiamente tutelati da organizzazioni di diritto pubblico (come la SIAE).
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I fruitori, attualmente privi di qualsiasi forma anche minima di diritto e tutela, considerati aprioristicamente come pirati, espropriando la presunzione di innocenza pur garantita dalla Costituzione.
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E, infine, lo stato, che dovrebbe svolgere la funzione di arbitro ed equilibrare esigenze e diritti di tutti.
Purtroppo, il comportamento tenuto finora dai vari stati e dalla Comunità Europea è sempre stato quello della pedissequa obbedienza a qualsiasi richiesta delle società di diritti d’autore.
Occorre cominciare a dire che sarebbe ora di cominciare a pensare che pure il fruitore possa avere dei diritti, e che non può essere solo una mucca da mungere all’infinito, in silenzio e senza diritto a manifestare opinioni, come finora è avvenuto sui diritti digitali che sono oggetto di una legislazione vergognosa.
Come si sta formando, da poco tempo, una cultura volta a garantire diritti del consumatore di prodotti commerciali, non sarebbe affatto male fare nascere un briciolo di sensibilità nei confronti dei fruitori di prodotti culturali.
I vari meccanismi tecnici per la protezione dei diritti d’autore hanno creato delle autentiche mostruosità: circuiti che hanno lo scopo di bloccare il nostro computer, il lettore CD, il lettore MP3 senza che l’utente possa sapere perché. Si badi bene che questi circuiti portano al blocco non necessariamente in caso di violazioni di diritti, ma per tanti altri motivi, per esempio perché ci siamo permessi di registrare la filastrocca recitata da nostro figlio all’asilo con attrezzature non perfettamente compatibili con questi dispositivi. Il che significa che sono altre persone a decidere come utilizzo io gli oggetti che ho regolarmente acquistato.
Altra mostruosità sono i CD audio che se inseriti nel computer installano a nostra insaputa programmi che possono essere definiti propriamente come virus o spyware, programmi che osservano le nostre azioni, cioè effettuano un costante spionaggio delle nostre abitudini. Solo per evitare che copiamo illegalmente la musica? Ma se inseriamo nello stesso computer un CD di un altro produttore, i due virus vanno in conflitto tra di loro e bloccano il computer definitivamente. Che gioia sapere che, per aver acquistato musica legalmente, il cittadino deve anche pagare per il fermo macchina e la riparazione del suo computer, rischio che certamente non corrono coloro che la musica l’hanno scaricata illegalmente.
Insomma chi ci difende da questi abusi? Con la legge Urbani chi copia illegalmente musica finisce in manette, ma chi mi blocca il computer, mi impedisce di ascoltare la filastrocca di mio figlio per degli abusi nella tutela dei suoi presunti diritti, deve continuare ad essere remunerato?
Questo abbandono del cittadino da parte dello stato, la presunzione di pirateria che giustifica (?) gli abusi di cui sopra, hanno portato le società per l’esazione dei diritti d’autore a una sempre maggiore arroganza con crescita esponenziale di pretese.
Quali soluzioni
Lo stato dovrebbe semplicemente fare una legge che escluda esplicitamente il prestito bibliotecario dalla retribuzione del diritto d’autore. Sarebbe una cosa semplice e logica. In tal caso le norme comunitarie non potrebbero intervenire, in quanto lederebbero l’autonomia politica di uno stato membro. Si badi bene: non abbiamo a che fare con l’introduzione di un nuova tecnologia, che richiede nuove forme e modalità di esazione dei diritti. Il prestito bibliotecario esiste da sempre e non si vede per quale motivo proprio ora si debba cambiare regime, dopo le migliaia di anni di storia delle biblioteche, durante i quali questo problema non è stato finora posto da nessuno.
Le società di di tutela dei diritti affermano che se in Italia il prestito bibliotecario rimarrà gratuito, si creerà il paradosso che lo stesso editore riceverà remunerazione dalle biblioteche di alcuni stati e non di altri. Ma non riesco a trovare nulla di preoccupante in questa situazione: ogni stato ha la sua propria cultura unica e irripetibile, non vedo affatto perché anche la gestione della stessa non debba avere differenze.
E soprattutto il mondo delle biblioteche avrebbe bisogno di essere aiutato, supportato, valorizzato.
Una mazzata come quella che viene prospettata sarebbe soltanto una vergognosa sconfitta della cultura. Dove pochissimi, o forse nessuno, ci guadagnerebbe veramente, mentre tutti avrebbero sicuramente da perderci.