Lo sfascio che vediamo ogni giorno induce a desiderare che il governo e l’economia vengano affidati ad amministratori scrupolosi, pragmatici, competenti e onesti.
Come guastafeste di lungo corso, dissento ferocemente da questa impostazione semplicistica.
Il pragmatismo l’abbiamo sempre avuto al governo e abbiamo visto cosa ha combinato: i pragmatici sono quelli che alla fine si fanno gli affari personali e quelli della tribù, partito o casta che rappresentano, a scapito del bene comune.
I competenti e i tecnici, hanno fatto sfasci immensi. Non dimentichiamo che un politico saggio può benissimo farsi consigliare da esperti, valutando caso per caso ciò che è meglio, mentre un tecnico al governo è comunque automaticamente un politico, e quindi deve ingraziarsi – in qualche modo – chi l’ha messo a governare.
L’onestà, infine, dovrebbe essere un prerequisito, non un merito: considerarla un merito, o, peggio, la base del proprio programma politico, vuole dire, non soltanto non avere un programma vero, ma soprattutto rafforzare la forma pensiero opposta, cioè che tutti i politici sono disonesti e ladri, forma pensiero che è alla base del malcostume che vediamo. Se scambiamo i mezzi con i fini, non andiamo da nessuna parte, maceriamo nel pantano e nella melma di sempre.
Quello che occorre veramente al nostro paese e al mondo intero sono… sognatori e visionari!
So che un bel rogo sfavillante è già pronto per me, se mi azzardo a ripetere in giro questa affermazione, ma non indietreggio affatto di fronte alla certezza dell’incomprensione.
Invito, tuttavia, il lettore, che si sentisse già fin d’ora troppo scandalizzato, a fermarsi qui, per evitare serie complicazioni, rischi di smarrimento, di eccessive riflessioni o, addirittura, di contagio.Partiamo dall’inizio: il compito della politica è, secondo me, non tanto la gestione dell’esistente, ma la continua evoluzione degli uomini dal familismo tribale alla visione globale – in senso letterale, cioè che riguarda il globo; dico questo in analogia a quello che avviene in mille altri campi, per esempio in agricoltura: il compito del contadino non è di gestire i semi, ma di fare crescere le piante. Se la sua visione non si allargherà (seme – piante – ottimizzazione del lavoro – lavorazione e immagazzinamento dei prodotti – offerta ai consumatori) e se il contadino si limiterà solo ad amministrare i semi, finirà per nutrirsi di essi e presto sarà alla fame.
Chi si occupa di politica dovrebbe sempre avere una visione ampia, altrimenti invece di gestire economia e società potrà gestire solo guerre e conflitti (interni ed esterni) tra tribù, caste, regioni e stati, i conflitti di cui il particolarismo è il maggiore promotore. Più è limitata la visione più abbondanti sono i conflitti e le mancate soluzioni dei problemi. Una visione locale non risolve alcun grande problema politico, che è sempre globale; per esempio: nessuna politica locale può risolvere autonomamente i problemi dell’energia, dell’inquinamento, delle droghe, delle mafie, delle ondate migratorie, della sovrappopolazione, dell’occupazione, ecc.
Il particolarismo porta solo all’arte di fregare gli altri (avversari, nemici, ecc.), in quanto gli altri appartengono ad un altro territorio, ad un altro partito, ad un’altra categoria professionale, e di combatterne i conflitti che ne derivano.
Al contrario, un grande obbiettivo può essere un elemento di grande coesione popolare mediante sfida, come lo fu quello di riunificare l’Italia, progetto visionario e prematuro, che ha riunito attorno a se napoletani e lombardi, che non sapevano neppure comunicare vicendevolmente.
Secondo punto: quando si parla di sognatori si pensa sempre a degli inconcludenti, forse per l’equazione sognare = dormire, mentre il vero sognatore non è l’addormentato, ma il realizzatore dei sogni, colui che prima vede o intuisce mete lontane, così lontane che sembrano sogni, e poi le raggiunge, o, almeno, mette in atto tutti i possibili sforzi per raggiungerle concretamente.
Quando si parla di visionari è ancora peggio: pensiamo subito a sostanze psicotrope oppure a deliri psicotici. Non pensiamo mai ad avere una visione, vedere oltre, che è l’esatto contrario del fatto di avere miopi interessi personali in gioco.
Tutti i governanti che hanno inciso globalmente sull’umanità intera sono stati sognatori. Non è detto che fossero onesti, buoni o disinteressati, ma estremi sognatori lo erano, eccome. Alessandro Magno, Gengis Kahn, Carlo Magno e Napoleone hanno unificato gran parte del mondo, probabilmente per feroce cupidigia di potere personale e producendo innegabili e spaventosi bagni di sangue.
Eppure se parliamo di Unione Europea, di Nazioni Unite, di confederazioni e conferenze mondiali, lo dobbiamo ai sogni di questi personaggi.
Il sogno di Gengis Khan, era che “una ragazza giovane potesse girare da sola, a piacimento, a qualsiasi ora del giorno e della notte, da un lato all’altro del mondo, con un cesto carico d’oro, senza correre il minimo rischio di essere importunata.” Propaganda? Certamente. Ma riflettiamo: non sarebbe questo un sogno veramente magnifico, uno dei più avanzati progetti che varrebbe ancora la pena di perseguire anche ai nostri tempi?
Gandhi ha liberato l’India dal potere britannico usando la nonviolenza. Chi mai dei tecnici della politica, dei pragmatici e dei cittadini campioni di onestà avrebbe mai osato, non dico prevedere, ma solo ritenere minimamente possibile un risultato del genere?
Siamo troppo schiavi delle apparenze, dei luoghi comuni e del buonismo per valutare i grandi orizzonti possibili all’umanità: Internet è stata progettata per scopi puramente militari, eppure oggi è il principale vettore mondiale di democrazia e di scambio delle conoscenze, terrore di tutti i governi dittatoriali e oscurantisti. Tutte le grandi conquiste – civili, mediche, scientifiche, sociali – hanno richiesto tributi altissimi anche di sangue, ma negare tali conquiste vuol dire ancora una volta scambiare i mezzi per i fini, uno degli errori umani più frequenti e perniciosi.
L’Italia è nata da un sogno: non ci sono mai stati i presupposti per una unità, c’era solo un guazzabuglio di staterelli che avevano sempre fatto guerra l’un l’altro, che parlavano la loro lingua o dialetto, che avevano usi, tradizioni e convenzioni sociali incompatibili. Gli unici elementi unificatori erano la lingua letteraria (che il volgo non conosceva), la cultura e l’arte – i prodotti tipici e distintivi dei sognatori. E i principali fondatori della nazione – Mazzini, Cavour e Garibaldi – erano sognatori e visionari. Oggi vengono valutati malissimo da tutti quelli che analizzano puntigliosamente i problemi, la questione meridionale e settentrionale, ma questi fini analisti sarebbero capaci, al massimo, di mandare in onesto pareggio il bilancio di una centrale del latte, mentre quel risoluto pugno di sognatori risorgimentali, decisi e motivati fino all’ultima goccia di sangue, ha costruito una nazione unitaria dal nulla senza la presenza di alcun minimo presupposto.
L’Unione Europea è nata allo stesso modo. Pochi sognatori, motivati e decisi, hanno realizzato, in breve tempo, un progetto, di paesi e popoli che si unissero pacificamente senza vincitori né vinti, all’indomani della più catastrofica guerra mai combattuta dall’umanità, che ha avuto, come principale campo di battaglia, proprio l’Europa. Le disparità – linguistiche, culturali, sociali, economiche, giuridiche, religiose – sono pressoché incalcolabili e insormontabili, eppure questo processo ha consentito una crescita, uno scambio di culture, di conoscenze e di cooperazioni che ha segnato una linea di non ritorno: come per la nazione italiana, non si può più tornare indietro, l’irreversibile si è radicato, e potrà portare solo ad un futuro di scambi sempre maggiori su tutti i versanti, fino al giorno in cui i nostri figli sentiranno compiutamente l’Italia una, l’Europa una e – il più grande dei sogni – il Mondo Uno.
Questo è il progetto visionario dei fondatori delle Nazioni Unite: tutti si lamentano dei difetti di questa organizzazione, ma non si rendono conto che costituisce un insostituibile punto di svolta, il primo presupposto alla cooperazione planetaria basata sulla diplomazia e non sulla sopraffazione.
Perfino l’Euro è stato un atto visionario, totalmente incompreso e prematuro: gli stessi istitutori di tale valuta affermano candidamente che avevano deciso di fare partire prima il progetto e, poi, di risolvere via via i problemi che esso avrebbe generato. Oggi tutti dicono che è la causa di ogni male e propongono di tornare alle vecchie monete nazionali, non immaginando cosa succederebbe se si perseguisse una direzione così antistorica. È vero che va rinegoziata la natura giuridica della BCE, è vero che vanno rinegoziati alcuni dei patti costitutivi dell’Euro, è vero che farebbe comodo una moneta locale sulla quale avere completa sovranità e signoraggio (ma esistono pure le monete complementari: la Svizzera, che di problemi finanziari ne ha meno di tutti, oltre al Franco adotta il Wir, moneta che ha dato grande brillantezza alle economie locali), ma l’abolizione dell’Euro, in questo momento storico, darebbe certezza solo di nuovi e più antipatici problemi.
La politica è grande e nobile se è basata su delle visioni: progettare strutture e infrastrutture che cambino il futuro, pianificare soluzioni creative per uno sviluppo, che non sia solo basato su comodità e consumi ma che coinvolga la totalità dell’uomo, cioè la cultura, l’arte, la creatività, la scienza, le relazioni umane e sociali.
E, soprattutto, progettare non più in vista delle prossime e sempre imminenti elezioni, ma in vista delle prossime generazioni.
È molto più facile bloccare un sogno che realizzarlo, specie se chi sta portando avanti un progetto è un politico della fazione avversa.
Pertanto viene ferocemente osteggiata la TAV, che dopo aver trasformato una gran fetta dell’Italia in un’unica grande città metropolitana ora potrebbe fare lo stesso dell’Europa intera, come pure viene osteggiato il ponte sullo Stretto di Messina, che porterebbe compiutamente la Sicilia in Italia (non si rifletterà mai abbastanza su quanto sia importante il simbolo di un immenso ponte) e che costituirebbe l’unica grande opera di architettura moderna di respiro mondiale in tutto il Sud.
Possiamo scegliere se affidare la politica a sognatori o ad amministratori. I primi, peraltro rarissimi, innescano polemiche esplosive, non vengono capiti, ma creano nuove strade e nuove soluzioni.
I secondi li abbiamo sempre avuti, gestiscono l’esistente, amano precisare che sono di destra, centro o sinistra, per rammentare che sono sempre la stessa minestra precotta, che recitano sempre la stessa sceneggiata della rissa eterna e perpetua, sempre legati alla stessa poltrona, al gioco delle tre carte, agli scambi di favori e di tutto lo scambiabile, alle muffe della politica, dove l’unico cambiamento possibile è il nome del partito e il rimaneggiamento delle alleanze.
Come non si rivoluziona l’economia cambiando marca di detersivo, non si cambia la politica cambiando la casella dove mettere la crocetta, anche se tutti ci vogliono dare da bere il contrario.
Per cambiare la politica occorre rinnovarsi, farlo in prima persona, cambiare modo di pensare, valutare veramente i nostri desideri e obbiettivi e purificarli dall’avidità, dagli interessi particolaristici e da ogni desiderio egoistico. Senza questo preventivo passaggio interiore, indispensabile propellente a future azioni e futuri impegni, non si va da nessuna parte.
Siamo stanchi di predicatori dei luoghi comuni, di fanatici di una sola idea, di apostoli della rissa, la cui esistenza e forza è alimentata solo all’odio dell’avversario.
Ora è il cittadino che deve crescere e muoversi attivamente: scegliere le impostazioni predefinite del telecomando televisivo o della scheda elettorale non serve a nulla.
Occorre capire che l’esistente non si può cambiare dal proprio personale e striminzito punto di vista, ma solo da un punto di vista superiore, che comprenda il maggior bene possibile per il maggior numero di persone. E questo è un modo di pensare da sognatori e visionari.