In epoca in cui si gareggia alle olimpiadi del disfattismo, ci si abitua, e spesso si considera un vanto, l’autolesionismo del buttar via il bambino con l’acqua sporca.
Se chi costruisce ferrovie è corrotto tutti gridano a gran voce di smettere di costruire ferrovie, se l’ospedale è disorganizzato tutti ne chiedono la chiusura, senza mai avere dubbi che forse sarebbe meglio lottare contro la corruzione e cercare di far funzionare le strutture piuttosto che privare i cittadini di servizi utili o indispensabili.
Pertanto sull’Expo Milano 2015 tutti hanno puntato con ferocia il dito accusatore, a causa delle mazzette, dei ritardi, della disorganizzazione, dell’incongruenza degli sponsor, della strumentalizzazione dell’evento, e per decine di altri motivi che non occorre elencare perché sono fin troppo analizzati, chiosati e ripetuti in ogni angolo di Internet.
Tutto il fango possibile è stato buttato, tutti i gufi hanno tonitruato dai loro piedistalli, tutti i boicottaggi possibili sono stati attuati, ma io, come mio solito, nel mio ruolo ufficiale di guastafeste, ho intenzione di raccontare l’altra faccia della medaglia, quella per la quale l’Expo è utile ed è un bene che ci sia.
Farla meglio non avrebbe affatto guastato, ma questo l’hanno già detto tutti fino alla nausea.
Innanzitutto le esposizioni universali furono un’idea di un personaggio assai illuminato, il principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, consorte della Regina Vittoria, e fu per questo che la prima in assoluto fu realizzata a Londra nel 1851, e, secondo il protocollo stabilito, vengono realizzate ogni cinque anni.
Queste manifestazioni sono da mettersi in stretto collegamento con le Olimpiadi, in quanto cercano idealmente di rappresentare l’unità del genere umano in un particolare settore.
Leggiamo direttamente dallo Statuto dell’Ufficio Internazionale delle Esposizioni (nella formulazione del 1988) di cosa si tratta:
Un’esposizione è una mostra che, qualsiasi sia il suo titolo, ha come fine principale l’educazione del pubblico: può presentare i mezzi a disposizione dell’uomo per affrontare le necessità della civilizzazione, o dimostrare i progressi raggiunti in uno o più settori dello scibile umano, o mostrare le prospettive per il futuro.
Come si evince dal testo, qui si parla di educazione, di progressi dello scibile umano e di prospettive per il futuro, non si parla di bancarelle da centro commerciale.
L’interrogativo al quale ogni nazione deve rispondere per partecipare è: in che cosa il mio paese può contribuire al progresso umano sul tema proposto per questa esposizione?
Come si vede, abbiamo a che fare con un’impostazione molto profonda e con temi molto grandi.
Il tema di Milano 2015 è Nutrire il pianeta, un tema cruciale, perché impatta l’economia, l’agricoltura, l’ecologia, la demografia, lo sviluppo sostenibile. Ricordiamo che la maggioranza degli esseri umani ancora vivono – o muoiono – di agricoltura. Da questo tema dipende il presente e il futuro dell’umanità, la tensione tra milioni di esseri umani denutriti e milioni obesi, il futuro del pianeta che non può sopportare troppo a lungo ulteriori oltraggi, la relazione tra gli uomini e il mondo attorno a loro, costituito dal pianeta, dagli animali e dalle piante. Scusate se è poco.
L’Expo non è una esposizione di chiacchiere (anche se può ospitare innumerevoli conferenze) ma è una dimostrazione di un fare: vengono presentate proposte, soluzioni, progetti e prodotti.
Se tra i tanti padiglioni venissero fuori significative e intelligenti risposte al tema, avremmo fatto la più grande rivoluzione della storia.
Prima ancora dell’apertura tutti hanno affermato con aria di sufficienza che l’occasione è stata mancata, che McDonald e la CocaCola, sponsors ufficiali della manifestazione, rappresentano il problema e non la soluzione, che si è trattato solo di un gigantesco magna magna (in tutti i possibili sensi della locuzione).
Nel mio ruolo istituzionale di grande guastafeste organizzato, sono convinto che è meglio un’occasione mancata che la mancanza di un’occasione, meglio fallire provandoci che non provarci neppure.
Coloro che non si daranno mai da fare per nulla, che non hanno sogni o speranze ma solo lamentele oziose, che stanno ad aspettare che gli altri facciano unicamente per criticarli e deriderli, ogni giorno biascicano in continuazione la stessa litania di sempre: “Io ve l’avevo detto”.
Pensare che recitare ciclicamente questa frase è il loro unico motivo di esistenza è tristissimo.