Ovvero: il Natale visto da un guastafeste.
Mentre tutte le feste religiose nell’occidente laicista stanno perdendo sempre più valore, fino a ridursi a delle obsolete formalità, la festa del Natale è in costante ascesa.
Perfino negli Stati Uniti, dove esporre un crocifisso in un’università cattolica è considerato un’offesa per i non credenti, il Natale è celebratissimo, anche se il suo nome viene taciuto sotto l’ipocrisia del politically correct, nominando solo genericamente le feste, che comprendono anche il capodanno.
Questa ricorrenza, tuttavia, ha una storia molto più travagliata di quanto si potrebbe immaginare e, come festa, è stata fino a poco tempo fa, una festa di minore importanza.
I primi cristiani non la celebravano, ma celebravano l’epifania, ossia il riconoscimento di Cristo come figlio di Dio.
Solo nel IV sec. si comincia a celebrare il Natale, che inizialmente cadeva il 6 gennaio, in seguito la festa fu spostata al 25 dicembre per farla coincidere con quella pagana della nascita del sole; comunque occorre aspettare ancora molto tempo per avere una istituzionalizzazione definitiva di questa festa, spostando al 6 di gennaio l’epifania.
Di pari importanza per la Chiesa, comunque erano le feste della circoncisione (1 gennaio) e del battesimo (6 gennaio, poi passato all’epifania) di Cristo.
Il Natale oggi viene celebrato anche il 26 dicembre (ovvero la festività è di 2 giorni) in Olanda, Germania, Scandinavia e Polonia e il 7 di gennaio nei paesi dove vige la liturgia greco – ortodossa.
Insomma tutt’altra cosa rispetto alla Pasqua, la festività principale del cristianesimo, che fu celebrata perfino dallo stesso Cristo e non ha mai avuto né feste di pari grado né dubbi sulla sua data di celebrazione.
Eppure oggi la Pasqua è in enorme ribasso, rispetto al Natale, che è diventato ipertrofico rispetto ad ogni altra festività dell’anno, sia religiosa che civile.
Dalla festa della luce alla festa delle luminarie
In tutte le civiltà pagane, il sole era la divinità principale, e la festa della sua nascita veniva celebrata proprio in dicembre nel periodo dell’anno (solstizio d’inverno) in cui le giornate sono più corte e in cui il sole è più desiderato.
S. Agostino rammentava che per il Natale occorreva celebrare non tanto la festa della nascita del sole, celebrazione che si era sviluppata in tutto il bacino del mediterraneo, ma la festa della nascita di chi aveva creato il sole.
Ma fare coincidere le due feste, quella pagana e quella cristiana, non fece che aumentare l’importanza del Natale, che, per motivi vari, veniva celebrato ovunque, pur dandogli un valore differente.
In tutte le feste che si rispettino esistono degli elementi comuni che concorrono a formare il carattere della festa, e questi sono il rito, il cibo e le scambio di doni.
Fino a poco tempo fa, comunque, il Natale era secondario rispetto alla Pasqua, che rappresentava il culmine dell’Anno Liturgico.
Ma molti fattori concorsero contemporaneamente a pomparne l’importanza a dismisura.
C’entravano, certo, i bambini: visto che si celebrava la nascita del Bambin Gesù, la festa fu rapidamente estesa a festa di tutti i bambini, ai quali venivano fatti doni.
Ma, soprattutto, visto che nel periodo più buio e più freddo dell’anno i commerci non potevano che andare molto a rilento, lo scambio dei regali, la carrellata di frasi mielose e stereotipe, furono sapientemente sfruttate dai commercianti per dare una svolta ad un periodo così ingrato per gli affari.
La retorica dei buoni sentimenti (che si debbono necessariamente esprimere sul piano materiale) crebbe a dismisura e diventò un inesorabile circuito vizioso.
E la tradizione (convenzione?) natalizia si arricchì delle bancarelle e dei mercatini di Natale, che oggi sono pervasivi, invadenti e oggetto di nevrotici e incessanti pellegrinaggi, in città sempre più intasate dal traffico indotto dallo shopping.
Man mano che il fatturato del commercio natalizio cresceva, si investiva sempre di più in pubblicità per il Natale, e aumentava sempre di più il peso del ricatto morale: se a Natale non mi regali qualcosa vuole dire che non mi vuoi bene. Questo ricatto morale, basato sulla manifestazione materialistica dell’affetto, è diventato il cardine della civiltà occidentale dei consumi e dello spreco.
La montagna dei regali
L’evoluzione della festa del Natale ha portato alla principale occasione di consumismo e di business di tutto l’anno: esistono migliaia di aziende di ogni tipo che vivono solo sugli affari indotti dal Natale, come pure ogni tipo di attività commerciale nel periodo natalizio subisce un’impennata nelle vendite.
La maggior parte delle aziende prepara proprio sotto Natale l’uscita di nuovi prodotti o l’uscita di un nuovo catalogo, il tutto pompato da un’incessante pubblicità che martella senza sosta tutti gli abitanti dell’occidente almeno tre mesi prima della fatidica data.
Non sappiamo per quanti il Natale sia un evento religioso o almeno una festa, ma abbiamo l’assoluta certezza che è il principale evento commerciale dell’intero anno.
Schiacciati da un peso pubblicitario mai conosciuto precedentemente nella storia dell’umanità, oppressi dai sensi di colpa subdolamente nascosti nei messaggi pubblicitari (“se non spendi un mare di soldi impedisci la gioia ai tuoi cari”), spintonati dai figli e dai numerosi parenti che considerano i regali un diritto acquisito e non un premio, ricattati da amici e parenti che considerano il regalo come un certificato insostituibile di amicizia o di affetto, per Natale tutti si svenano economicamente.
Possiamo considerare il Natale come una vera e propria fiscalità, come una tassa ineludibile che deve essere pagata da tutti, che non ammette evasori, pena l’estraniamento completo e definitivo da ogni tessuto sociale.
E’ per questo che nel mese di dicembre a tutti i lavoratori dipendenti viene pagata a tutti la tredicesima mensilità, una cosa aberrante se ci riflettiamo bene sopra (non sarebbe meglio uno stipendio più alto tutti i mesi?), ma l’intero sistema economico del consumismo ha come pilastro il Natale e, quindi, occorre creare una ripartizione delle entrate in maniera che, nel grande momento in cui i regali sono una tassa obbligatoria, questi non si trovino sprovvisti di pecunia.
Per Natale tutti sono costretti a girare ossessivamente per le vetrine, le bancarelle, i centri commerciali, i siti di commercio elettronico, al fine di accontentare tutti, redigendo delle liste rigorosissime che debbono contemplare tutti coloro ai quali fare un regalo è un obbligo.
Anche perché, se fare un regalo fosse un piacere, uno non avrebbe bisogno dell’occorrenza istituzionale, potrebbe farlo in qualsiasi momento a sua scelta.
Ovviamente dimenticarsi di qualcuno è un esplicito atto di guerra, che verrà ricordato per decenni e genererà offese che non ammetteranno assoluzione (“neanche per Natale hai pensato a me!” ci sentiremo dire col dito puntato).
Ma visto che è il pensiero quello che conta (ma allora perché comprare così tante cose?), dovendo accontentare un gran numero di destinatari (genitori, figli, fratelli, nipoti, cugini, amici stretti, medico curante, ecc.) ben difficilmente sappiamo quale oggetto è gradito al ricevente, abbiamo sempre la possibilità di colmare i nostri destinatari di una miriade di oggetti inutili, che servono solo a certificare che abbiamo pagato la tassa.
Questi oggetti, poi, finiscono in cantina, in soffitta, o dentro gli armadi. Li tireremo fuori (con immenso strazio, perché non sappiamo più dove li abbiamo riposti) solo quando il donatore viene a farci visita, occasione nella quale ostenteremo, assieme a tali oggetti, anche la nostra ipocrisia.
Qualcuno cerca pure di riciclarli come regalo per una prossima ricorrenza, concorrendo ad un continuo gioco di scarica barile di doni inutili, gioco molto divertente solo se non viene scoperto, visto che può generare delle gaffes imperdonabili (a volte ricevi una scatola di cioccolatini scaduti da 5 anni con dentro un bigliettino di cui scopri di non esserne affatto il destinatario originale).
Ma tutto questo accumulare oggetti inutili nelle nostre case è il fondamento del consumismo e la spinta all’edilizia: infatti, per quanto grande possa essere la nostra casa, intasata com’è di ciarpame e di oggetti inutili, viviamo sempre e comunque in spazi piccoli.
Ricevere i regali di Natale raramente dà gioia; l’effimero divertimento consiste nell’indovinello “cosa ci sarà dentro?” (anche se spesso lo sappiamo benissimo o lo possiamo facilmente desumere dalle dimensioni, dal peso e dal tatto) e nell’atto di spacchettarli, infatti la cosa più bella è il pacchetto, confezionato secondo un rigidissimo protocollo: carta colorata con fiocco arricciato o coccarda.
Una volta, almeno, i bambini si divertivano moltissimo, ma oggi, assuefatti a regalie continue e quotidiane, il regalo di Natale ha poco significato, è più che altro un atto di verifica per controllare se gli adulti hanno adempiuto ai loro obblighi sociali, come lo farebbe un esattore del fisco.
Infine le compagnie elettriche durante il Natale forniscono il massimo della loro prestazione, ricevendo il massimo del loro reddito, grazie alle immense luminarie poste in ogni dove, e aumentando l’inquinamento con grande solerzia.
Babbo Natale
Come tutte le grandi operazioni commerciali che si rispettino, anche il Natale ha avuto bisogno dei suoi testimonials.
Basandosi su di una vecchia leggenda relativa a S. Nicola, vescovo di Myra e partecipante al concilio di Nicea, religioso turco che pare avesse l’abitudine di fare regali di nascosto ai poveri, nel 1931 la Coca Cola Company commissionò al pittore svedese – americano Haddon Sundblom il compito di creare un personaggio valido commercialmente.
Il risultato fu il ciccione grasso e barbuto vestito di rosso che va su una carrozza trainata da renne che oggi vediamo ovunque come un’ossessione.
Quindi il culto di S. Nicola è un purissimo pretesto (eccetto per il nome: Santa Claus è secondo me la contrazione di Sankt Nikolaus, anche se ho trovato in giro ben altre etimologie) per creare il personaggio commerciale che è purissima invenzione pubblicitaria, anzi, possiamo dire che Babbo Natale è stato il primo esempio di grande mito creato totalmente dalla pubblicità.
Lettere e letterine
Tra i tantissimi adempimenti natalizi c’è da mandare un’infinità di messaggi ad un’altrettanta infinità di persone. Un tempo si scrivevano lettere. Oggi si mandano SMS, email, e si fanno tante telefonate (anche le compagnie telefoniche vogliono la loro parte!). E’ importantissimo non dimenticare nessuno, altrimenti si scatena un putiferio di rancori e gelosie. Occorre quindi tenere una rigorosa contabilità degli auguri. Poi ci sono un sacco di testi, a volte carini, che circolano ovunque su email e telefonini. Ovviamente ognuno li ricopia e tutti se li rispediscono vicendevolmente, tanto che ricevi decine di volte lo stesso identico messaggio da persone che non si dovrebbero neppure conoscere tra di loro.
Ma non finisce qui: terminata la contabilità dei messaggi da inviare, inizia la contabilità dei messaggi a cui rispondere. E’ quasi un lavoro a tempo pieno. Anche per le risposte, ovviamente, sono di gran lunga preferite quelle stereotipe e ricopiate.
I bambini più piccoli scrivevano la letterina a Babbo Natale, anche se adesso sta passando di moda, perché non sanno più quali doni chiedere, visto che hanno già tutto.
L’albero
L’albero di Natale ha una storia complessa. Deriva infatti da antichi culti nordici legati agli alberi da frutta che portano cibo in dono agli uomini. In seguito, già in era cristiana, si cominciò ad appendere frutta a dei sempreverdi, principalmente pini e abeti, per celebrare il Gioco di Adamo ed Eva, in cui l’albero rappresentava il paradiso terrestre. In seguito furono aggiunte delle candele, fino ad arrivare all’arredamento stereotipo che tutti conosciamo (palle, capelli d’angelo e lumini).
In seguito l’albero di Natale è divenuto una meravigliosa occasione di deforestazione, nella quale milioni di giovani alberi venivano abbattuti o sradicati. Oggi la ferocia disboscatrice si è attenuata con l’arrivo dall’Asia (Cina e Thailandia) di alberi sintetici che ogni anno possono venire agevolmente riciclati.
L’albero è molto in voga, perché molto consumistico, stereotipo, privo di simboli religiosi e richiede costantemente un ricambio di lumini (si fulminano rapidamente) e di palle (sono numerosissimi i rompipalle in circolazione).
Il presepe
Realizzato per la prima volta da S. Francesco nel 1223 a Greccio, è la più tipica rappresentazione di devozione e di creatività popolare. Essendo entrambe queste qualità completamente estranee al consumismo industriale, è completamente decaduto e la maggior parte delle famiglie non lo fa più.
E’ troppo creativo, e non dà quella bella patina di “fatto con lo stampino”, tutto plastichine e lumini tutti uguali e con scritto sopra “made in Hong Kong“. Inoltre ogni presepe è diverso dall’altro, e questo va in conflitto con il supremo appiattimento culturale rappresentato dal Natale.
A Natale siamo tutti più buoni
Natale è il periodo in cui si dicono e si sentono più sciocchezze nel corso dell’anno.
Nell’occidente opulento è l’occasione di sprechi immensi in ogni direzione, mentre siamo assediati da un’umanità sfortunata che muore di stenti.
Non importa se con i soldi per acquistare l’ennesimo fermacarte (nome dato a quegli oggetti ai quali nemmeno la persona con la fantasia più sfrenata potrebbe trovare la benché minima utilità) si potrebbe contribuire a costruire una scuola in Uganda che permetterebbe a dei bambini di potere scegliere un avvenire migliore.
Ma se io mando i soldi in Uganda se ne accorgono gli Ugandesi, non i miei congiunti che si aspettano il pagamento puntuale della loro tassa natalizia.
Comunque, vista l’abbondanza di cassette per le elemosine non solo nelle chiese ma anche nei negozi e nei supermercati, se gli spiccioli che mi vengono dati di resto da un qualsiasi commerciante mi sono di impiccio, allora è possibile liberarci di questi fastidiosi e tintinnanti tondini metallici gettandoli all’interno delle varie cassette onnipresenti. Che si tratti di rifugi del cane, di ricerca sul cancro, di assistenza ai senzatetto o di depurazione delle acque in Sudan non ce ne accorgeremo mai, anche perché non ce ne potrebbe importare di meno.
Ma quello che conta è l’immensa e insopportabile pressione pubblicitaria: ovunque passiamo sentiremo sempre e all’infinito Jingle Bells e quei pochi altri canti natalizi, ripetuti ben oltre la nausea.
Vedremo ovunque, letteralmente ovunque, festoni, alberi di Natale e Babbi Natale che tappezzano ogni spazio disponibile.
E sentiremo ripetere all’infinito tutte le più rassicuranti ovvietà, tutti i più nauseabondi luoghi comuni natalizi, incessantemente e senza momenti di pausa.
Infine constatiamo che a Natale sono tutti più suscettibili. Se una cosa detta in buona fede durante il pranzo natalizio viene equivocata maliziosamente, ci sentiremo rinfacciare per tutta la vita: perfino nel Natale dell’ 83 mi hai detto che…
Natale con i tuoi
Trascorrere il Natale non in famiglia è considerabile alla stregua di un reato.
Chiunque per i motivi più disparati (medici di turno, pompieri, autisti di tram, ferrovieri) non possa farlo, ne rimarrà straziato da lancinanti complessi di colpa nei confronti dei suoi cari.
Molto peggio se la passano coloro che la famiglia non l’hanno o non l’hanno vicina o raggiungibile: per queste persone il Natale è il periodo più triste dell’anno, un periodo dove le depressioni prosperano e i suicidi abbondano.
Gli emigranti fanno cose pazze per tornare a casa e, coloro che non lo possono fare, ne fanno una vera tragedia.
I padri separati soffrono più che in qualunque momento per il fatto di non potere essere con i propri figli; gli anziani soli si macerano amaramente nel dolore.
Dolore reso più acuminato dalle belle frasi inneggianti ai buoni sentimenti ipocriti lanciate dalla pubblicità sfrenata che attanaglia il periodo natalizio.
Ma anche coloro che trascorrono le feste in famiglia non se la passano poi così tanto bene.
Riunendosi forzatamente persone che abitano lontane (non sempre per ineluttabile volere del fato), il pranzo dei Natale è spesso occasione per la litigata dell’anno. Ogni volta ci si lascia in collera ripromettendosi di non vedersi mai più, ma il proposito viene interrotto il Natale successivo dove la sanguinosa litigata può proseguire e inasprirsi ulteriormente, fino a devastare famiglie ed esistenze.
Il banchetto di Natale
Innanzitutto i banchetti di Natale sono due: quello della Vigilia e quello del Natale vero e proprio.
Entrambi sono fatali, perché in ciascuno dei due viene presentato un catalogo completo della cucina regionale. Si imbandiscono miriadi di vivande solo perché è tradizione. E tutti, assolutamente tutti, i cibi del puntiglioso canone famigliare debbono essere serviti nello stesso pasto. Se qualcuno ne facesse solo alcuni per volta sarebbe un sacrilegio.
E per paura di sfidare gli anatemi degli antenati che potrebbero incenerirci se abbiamo dimenticato il capitone o il panettone, tutto deve arrivare in tavola, anche se perfino il più piccolo assaggio di tutto quel ben di Dio sarebbe impossibile. Insomma, questi cibi la tavola la debbono almeno vedere.
Ogni singolo piatto che costituisce il menù di Natale deve essere pesantissimo e ipercalorico, altrimenti sarebbe un piatto sano e adatto all’alimentazione quotidiana, cosa che per il giorno di Natale è a dir poco blasfema.
Preparare il pranzo di Natale è una fatica bestiale, che rovina i giorni precedenti e richiede altrettanti giorni per riprendersi.
Infine, al termine del pranzo, stiamo quasi per scoppiare, i bottoni dei pantaloni si trasformano in armi improprie e la digestione diventa uno sport estremo.
Ma siamo gongolanti di aver adempiuto alla tradizione e di aver inghiottito perfino un cucchiaino della crema della zia Ermenegilda, che sommata alla torta su ricetta della bisnonna Argìa, alla schiera dei 5 torroni diversi, dei 4 panettoni (con diversi ripieni e coperture) dei pandori, dei certosini, dei panoni natalizi, degli struffoli, delle cassate, ecc…. E questo solo per parlare dei dolci.
Non riusciamo proprio ad alzarci da tavola, i caffè e gli ammazzacaffè usati ipocritamente per digerire fanno fatica ad essere digeriti pure loro.
Il nostro stomaco vive il Natale come una mazzata e il nostro adipe lievita come per una gravidanza, tanto che, chi volesse rimettersi a dieta per riprendere la linea, ne avrà certamente per un paio di mesi.
I postumi del pranzo di Natale non sono solo nel nostro corpo, ma anche nel nostro frigo: infatti impiegheremo settimane per smaltire le enormi quantità di cibo preparate per quella sola occasione, sempre che non vadano a male prima. Anche il nostro fegato vive il Natale come una mazzata e necessita di lungo tempo per rimettersi.
Riprendersi
Stressati da settimane per la caccia al regalo, dalla contabilità per i messaggi augurali e per le relative risposte, dalla cucina di due pranzi per trenta persone con innumerevoli portate, dalla digestione degli stessi, dai bisticci famigliari, avremmo bisogno di un congruo periodo per riprenderci.
Ma il Capodanno e l’Epifania sono alle porte, e il tam tam del consumismo sta cominciando a premere incessantemente per trasformare anche queste festività alla pari del Natale.
Vista la nostra innata acquiescenza ad ogni stimolo consumistico, siamo sulla giusta strada per triplicare lo stress natalizio, anche se per ora il Capodanno è per ora limitato al cenone o poco più e l’Epifania è prevalentemente a livello di regali. Ma, ancora un paio d’anni di pubblicità martellanti, e sicuramente le feste diventeranno tre, e tutte e tre con il loro identico stress, i loro sprechi e il loro contorno di obblighi e doveri ineludibili.
A proposito, l’augurio che più mi sento di fare in questi giorni è: “buona sopravvivenza al Natale”.
Una pubblicità del 1910 delle penne stilografiche Onoto. Qui vediamo una antica immagine di Babbo Natale pre-Coca Cola. Notiamo che è più simile all’iconografia di S.Nicola che agli stereotipi attuali. Altri tempi…
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